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Auto elettriche, 60.000 posti di lavoro a rischio e licenziamenti?

Il passaggio all’elettrico in Italia potrebbe costare caro. Si stima che entro il 2035 sono a rischio oltre 60.000 posti di lavoro.

Allarme posti di lavoro: la transizione verso la mobilità elettrica si trascina dietro enormi problemi, tra cui quello occupazionale, comune in tutta l’Europa. Solo in Italia la transizione ci costerebbe ben 60 mila posti di lavoro entro il 2035, secondo l’inchiesta di Milena Gabanelli del Corriere della Sera. Ma sarà vero?

Fabbriche auto, operai e dipendenti a rischio licenziamento?

Nella sua analisi Milena Gabanelli parte dall’azienda tedesca Vitesco di Pisa, che produce iniettori, con 750 lavoratori a rischio licenziamento. Motivo? L’azienda ha già deciso di fermare la produzione di questi componenti dal 2023, delocalizzando in Romania, Ungheria e Repubblica Ceca. Poi prosegue parlando delle fabbriche Stellantis di motori diesel, dei siti di Ferrara e Pratola Serra (Avellino), della Bosch e Marelli a Bari, della Denso di San Salvo (Chieti).

Complessivamente qui sono a rischio oltre 2.500 lavoratori. In allerta ci sono anche 1.400 dipendenti della fabbrica Bosch di Bari, più altri 600 della Marelli. L’analisi prosegue con la situazione della fabbrica della multinazionale giapponese Denso di San Salvo, in provincia di Chieti, dove 1.000 occupati producono alternatori e motorini di avviamento.

Lavoratori a rischio licenziamento secondi i dati Fim, Fiom e Uilm entro il 2023
Lavoratori a rischio licenziamento secondi i dati Fim, Fiom e Uilm

L’industria automobilistica italiana conta 2.200 imprese della componentistica e 161 mila occupanti. Molte di queste producono parti per motori benzina e diesel, che dal 2035 saranno messi al bando. Lo stop metterebbe a rischio il 67% delle esportazioni italiane, con forti conseguenze occupazionali. Stando così le cose, entro il 2035, 60mila persone in 500 aziende perderanno il posto di lavoro.

Licenziamenti e crisi

La crisi delle aziende e i conseguenti licenziamenti che abbiamo visto nei mesi scorsi potrebbero rappresentare l’inizio di un cataclisma occupazionale che colpirebbe l’Italia da Nord a Sud. Il problema è già visibile nelle fabbriche di motori diesel, con la domanda che sul mercato è passata dal 54% al 26% negli ultimi tredici anni.

Lavoratori a rischio nell’industria auto

Lo scenario sembra apocalittico e l’unica soluzione sarebbe quella di riconvertire queste fabbriche, ma come? La sfida è ardua perché tanta componentistica delle auto elettriche arriva dalla Cina, che in questo momento può contare su un vantaggio tecnologico notevole e soprattutto di manodopera a basso prezzo.

Linea di produzione nuova Fiat 500 elettrica installazione motore elettrico
Rischio perdita di posti di lavoro con il passaggio all’auto elettrica. Nella foto un operaio mentre movimenta un nuovo motore elettrico.

Come salvare posti di lavoro con il passaggio all’elettrico? Soluzione ai licenziamenti?

Per fermare l’emorragia dei posti di lavoro e salvarli serve un programma di transizione industriale che col passaggio all’elettrico renda l’Italia appetibile anche dagli investitori stranieri. Certo, la ricetta risolutiva non è facile trovarla.
Si potrebbe riconvertire la produzione almeno con la creazione di gigafactory e a tal proposito fanno sperare i programmi di Stellantis per Mirafiori, Melfi, e Termoli. Bisogna battere tutte le strade, compresa quella della riparazione e manutenzione dei pacchi batterie per i quali ci sarà un bel lavoro da fare.

Batteria auto elettrica
Nuova occupazione sarà necessaria per la manutenzione e riparazione delle batterie per le auto elettriche

Nuovi posti di lavoro con l’auto elettrica?

Ma in questa difficile riconversione la Cina fa paura. Tra l’altro la Motor Valley emiliana ha deciso di ospitare la joint venture cinese-americana Silk Faw, la quale ha in programma di realizzare in Emilia Romagna la sua fabbrica di supercar elettriche, con le prime assunzioni in programma da gennaio 2024.

E se gli scienziati si fossero sbagliati? Considerazioni sulla transizione verso un modello
energetico eco-sostenibile

Scrive Davide Tabarelli, presidente di NE Nomisma Energia: “La transizione è un passaggio dalla vecchia economia basata sui fossili, al nuovo modello eco-sostenibile, molto “verde” e “circolare”. Per l’informazione superficiale dei nostri tempi, la transizione è la risposta al cataclisma del cambiamento climatico. In realtà, sono 40 anni che si cerca di alleggerire la dipendenza dai fossili. Impossibile farne a meno, quantomeno nei tempi indicati da chi vende facili illusioni. L’Italia, uno dei grandi Paesi industrializzati e uno dei Paesi che più dipende da fonti fossili importate, ha assunto un ruolo di guida nella transizione verso la sostenibilità. Occorre però non rinunciare alle ambizioni di verità, per raccontare che la realtà è molto diversa, proprio per rendere possibili quegli ambiziosi obiettivi.

Siamo in una trappola. O gli scienziati si sono sbagliati sul cambiamento climatico, e pensarlo appare un’eresia di fronte a quella che sembra una religione dogmatica, oppure andiamo verso catastrofi sicure a causa dell’effetto serra, perché la crescita delle emissioni di CO2 non si ferma.

La domanda di energia nel mondo sale e questa si scarica sempre sui fossili, gas, petrolio e soprattutto carbone che, insieme, contano ancora per l’80% dei consumi, come 40 anni fa. Ci sono oltre due miliardi di persone che non hanno accesso all’energia come la conosciamo noi, quella moderna che noi ricchi oggi vogliamo abbandonare”. (se ti va di leggere l’articolo completo di Davide Tarabelli “Considerazioni sulla transizione verso un modello
energetico eco-sostenibile” lo trovi QUI
)

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